Controllo dell’udito neonato: sordità congenita
Il controllo dell’udito nel neonato è fondamentale per individuare, tramite un test chiamato otoemissioni acustiche, una sordità congenita che può dipendere da mutazioni genetiche o da infezioni contratte nell’utero materno.
Cos’è la sordità congenita
Per sordità congenita si intende una perdita uditiva neurosensoriale, vale a dire dovuta a una disfunzione dell’orecchio interno e/o del nervo uditivo, presente alla nascita.
Può riguardare un solo orecchio o entrambe le orecchie e interessa un neonato su 1000.
Circa il 50% dei casi è causato da mutazioni genetiche, vale a dire difetti del DNA che il bambino eredita da uno o da entrambi i genitori.
Il restante 50% è causato da infezioni trasmesse al bambino in utero, più frequentemente quella da Cytomegalovirus, meno spesso quella da Rosolia o Toxoplasma.
Alcune sordità non sono presenti alla nascita ma sono acquisite in epoca neonatale (1° mese di vita) a causa di scarsa ossigenazione tissutale, ittero o terapie antibiotiche per via endovenosa, necessarie per trattare gravi infezioni.
Quali sono i sintomi
Al di sotto dell’anno di vita, in assenza di diagnosi precoce, il genitore potrebbe notare che il bambino non reagisce agli stimoli vocali o ai comuni rumori ambientali.
Dal compimento del primo anno di vita in poi il bambino presenterà un mancato o deficitario sviluppo del linguaggio e della comunicazione verbale.
Controllo dell’udito nel neonato
Al giorno d’oggi è possibile sospettare la patologia fin dai primi giorni di vita del bambino, grazie ad un test di screening che si può eseguire sui neonati, chiamato ‘otoemissioni acustiche’. Il test consiste nel registrare i suoni emessi dalla coclea o chiocciola, organo dell’orecchio interno essenziale per trasformare le onde meccaniche che riceve dall’orecchio medio in onde elettriche che verranno convogliate, tramite il nervo acustico, alle vie uditive centrali e di qui alla corteccia uditiva situata nel lobo temporale del cervello.
Il test si esegue utilizzando una piccola sonda rivestita da un piccolo tappo in gomma che emette suoni e al contempo registra i suoni emessi dalla coclea.


Dopo essere stata inserita nel condotto uditivo esterno del neonato, essa invia un suono che raggiunge la coclea, la quale lo traduce in impulso elettrico per il cervello.
Nel far questo, la coclea stessa produce un suono, che viene catturato dalla sonda e registrato dallo strumento, il quale fornisce il risultato PASS se ha ricevuto il suono emesso dalla coclea, oppure REFER se non l’ha ricevuto. I bambini che superano il test (PASS) sono certamente dotati di una normale funzione uditiva, mentre i bambini che risultano REFER, ossia che non superano il test, necessitano di approfondimento diagnostico mediante un esame chiamato potenziali evocati uditivi o ABR.
L’ABR, oltre a confermare la diagnosi, è anche in grado di stabilire il grado, ossia l’entità, del deficit uditivo.
La diagnosi sordità congenita andrebbe fatta tra i 3 e i 6 mesi di vita, in modo tale che sia possibile impostare un trattamento precoce.
Come si cura
Attualmente esistono trattamenti per tutti i tipi e gradi di deficit uditivo (ipoacusia). I bambini con ipoacusia di lieve o media entità, nelle quali vi è una compromissione soltanto parziale dell’orecchio interno, ottengono ottimi risultati dall’applicazione di protesi acustiche, sofisticati amplificatori dei suoni che stimolano le cellule ancora funzionanti all’interno della coclea.
Le ipoacusie di grado severo o profondo sono invece trattate efficacemente mediante l’impianto cocleare o ‘orecchio bionico’, un dispositivo che viene posizionato nell’orecchio interno mediante un intervento chirurgico, e che stimola le fibre del nervo uditivo.
Grazie alle moderne soluzioni per ogni grado di ipoacusia, oggi i bambini nati sordi riescono per la maggior parte a sviluppare un linguaggio verbale allo stesso livello dei coetanei che hanno un udito normale, a condizione che la diagnosi e il trattamento siano precoci.
Fonte: Ospedale bambino Gesù